Nunzia Binetti, nata a Barletta dove vive, dopo la maturità classica ha frequentato presso l’Università degli studi di Bari, prima medicina e poi lettere. Scrive poesie, recensioni e, come pubblicista, articoli soprattutto in web- per “Vivicentro Web Rassegna Stampa”-.Si interessa di saggistica e critica letteraria. Sue poesie sono presenti in numerose antologie poetiche edite anche da Perrone Editore di Roma e dalla Casa Editrice Aletti. Una delle sue liriche “Effetto Placebo” è stata tradotta in lingua Serba e pubblicata nel 2011 sulla Rivista Letteraria “ BIBLIOZONA” della Biblioteca Nazionale di Nis (Serbia).
Nel 2010 la CFR Editrice di Sondrio ha pubblicato la sua prima silloge poetica dal titolo "In ampia solitudine”.
Vincitrice di diverse selezioni editoriali per la pubblicazione di poesie in antologie. Partecipa di rado ai concorsi letterari, ma è risultata vincitrice del premio speciale nel Concorso Internazionale di poesia “Giacomo Natta 2012” con la poesia “Tendenze”. che il M° Celeste Masotti ha poi messo in musica per soprano e pianoforte, ed anche di altri premi speciali nel Concorso Letterario Nazionale di Carignano, "Città del Principe 2012”, per una silloge inedita ed in quello Internazionale "Città Martinsicuro” per la silloge edita “In ampia solitudine”.
Vincitrice del 2° premio per la Poesia nel Concorso Nazionale “Premio Mercedes Mundula” indetto nel 2009 dalla BPW F.I.D.A.P.A. di Cagliari.
Recensita da poeti e critici letterari, come Virginia Murru, Italo Zingoni, Roberta Panizza, Davide Castiglione e Sandro Angelucci in alcune significative riviste letterarie come” Capoverso” n° 23 del 2012, si è imposta anche all’attenzione del quotidiano partenopeo, “Il Golfo”, del settimanale ischitano “Il Dispari”, e della “Gazzetta del mezzogiorno”.
Impegnata nel sociale per il raggiungimento della parità di genere uomo- donna, già Presidente della BPW FIDAPA sez. di Barletta (2009/ 2011) è attualmente Past President della stessa, oltre che membro della Taskforce twinning della Federazione Internazionale BPW.
E’ Vicepresidente del Comitato "Società Dante Alighieri" di Barletta, del quale con l’attuale Presidente è stata di recente fondatrice, animata com’è dall’amore per la cultura italiana e per la lingua madre.
* * *
Fragile poesia
In cifra tonda calcolo spasmi
contengo i corti di memoria
e mi astengo
se la poesia non è d’obbligo come l’amore
ma errore, un che di contro-verso, insano
per l’occhio orbo di un dio.
Non chiedermi oggi, di scrivere versi
belerei come agnello solo grammatica.
L’aria muove fili, fantasmi di Pasque fragili
e già ho colto il frutto del pesco rosa.
Ho speso un tempo di donna
moneta che non torna
sul mio conto- corrente.
Effetto placebo
Non è silenzio, è mutezza, la tua
e delle cose
angoscia cresciuta in un teatro
che mai e nulla replica.
Un filo di ferro raccoglie gli steli
li stringe, l’abbraccio è cesoia.
Le rose, le cose
il tuo volto di mezzo, la vita.
Ma datemi qualche rumore
che scuota di poco quei petali e poi di rimando
anche il resto, calato nel sonno.
Il solo vibrare sia effetto placebo, per me
audiolesa, sfinita dal guasto.
Apri-le
Se poi ci pensi Apri-le non è un mese
solo lo schiudersi di un uscio al dopo.
Ti senti attraversata da magnitudini
mentre sei donna e studi la parola
e poi la provochi, la scindi
meglio dei cieli sporchi e
carichi di nuvole, ancora, ancora.
Il cuore è stanco e lo scolpisci
aspetti il verde muto sotto le polveri
ruoti nel tempo, lo sai miracolo ed errore.
La primavera è prato di illusioni
la bugia grande che ti elide tra sonno e fasci
incisi di uno strano sole;
è madreperla
e di imprecise iridescenze gode
infelice.
Inverno sul nido
Indugia il nido sull’albero
tra spogli rami.
Esita cieli di fioriture smemorate
e tu mi adduci
posseduta, alla materia.
Vado col piede tra assenza
di fili d’erba e stilemi irrisolti.
Confondo i cieli della mente
e le pupille ardiscono
visioni neutre
in questo inverno dell’anima
- aria fredda di vita -.
Rimuove letargie dal magro della terra.
Invidio il bucaneve
che per te si fa ghirlanda.
Ultrasuoni
A questo paesaggio piatto, senza fianchi
né seni, mi tiene aggrappata la vita
o qualche novembre
che spreme olive come fossero arance
e muove ogni cosa ma in punta di piedi
- il gesto sommesso per cui sono caduta -.
sento la morte venire,
ha un rumore metallico.
Ed io sono vetro;
tintinno.
Et nunc
Et nunc, fatti, luna, sul pomario
che scorro da un binario infedele.
Bari suona crome morte al mio arrivo
né sono la ragazza dal fiore rosa ai capelli
un solo sedile più in là.
Volgo al termine dopo molte abluzioni
d’acqua e fanghiglia
- tempeste uditive tormentano la memoria -
Non so perché torno alla città:
a lei vengo e l’amo
per gli spazi che sostiene
e mi dividono da...
Pulsa il suo ventre viali alberati
conchiglie, edifici di pietra asprigna
poi
è quiete di policlinico.
Non ha sesso, se non confuso e magrebino;
mi fonde, mi ignora, mi uccide.
La sposo.
Il canto di Ezia (notturno di donna)
Io non so chi accende la luna
( che tormento di sguardi)
o quest’ aria in odore di campo
quando è maggio.
So che ho mani di pane
che carezzano l’ uomo che amo
in un sogno qualunque
e ricamo la vita sopra un panno sgualcito
non lo stiro;
è una nenia, sedicente visione
ogni notte…ogni notte...
e resistere al sonno è massacro.
A mattina, ridisegno linee oblique in kajal
- ologrammi di malinconia-
Ciglia e rètine ho congeste di sere,
divoranti finzioni di miele, ostinate nullezze
sotto tetti mentali.
Papaveri
Spiazzano il guardo le anime rosse dei papaveri
stanno
spillate su steli verdissimi: gole di donne alla moda, filiformi.
Sanno di certe femminee emorragie
null’altro dicono che il gioco dell’essere
in quel sostare convenzionale quasi indiscusso
( ma solo in apparenza).
Chi li soccorre i papaveri sulla strada statale al km 21
feriti dall’offesa
quando l’estate brucia e li addolora?
Aggrumano l’odore sgarbato della terra
la stessa che prima li sputa fuori, poi li risucchia.
Chiamatemi papavero se tutto questo è vero.
II
Pulsanti sulle tele degli artisti, in sudditanza al sole ,
urlanti i rossi macchiaioli e comunisti
forse solo per rabbia o per vergogna
d’essersi persi in mezzo alla bontà dei grani
più grandi alcuni, altri piccolissimi,
per caso nati … papaveri,
contagiano il campestre e l’inurbano
di un male eritrodermico in distinguo .
Dirompono
o riparano a perimetro sul muro malandato del casale
lo fiutano e comprendono il tanfo dello sghembo
stornellano il dolore a perdifiato
e questo è quel mandato che li appesa.
A notte poi diviene il loro scomparire in nulla ;
se pure immoti
un occhio cieco non li vede, splendesse anche la luna
sul creato.
In cifra tonda calcolo spasmi
contengo i corti di memoria
e mi astengo
se la poesia non è d’obbligo come l’amore
ma errore, un che di contro-verso, insano
per l’occhio orbo di un dio.
Non chiedermi oggi, di scrivere versi
belerei come agnello solo grammatica.
L’aria muove fili, fantasmi di Pasque fragili
e già ho colto il frutto del pesco rosa.
Ho speso un tempo di donna
moneta che non torna
sul mio conto- corrente.
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Effetto placebo
Non è silenzio, è mutezza, la tua
e delle cose
angoscia cresciuta in un teatro
che mai e nulla replica.
Un filo di ferro raccoglie gli steli
li stringe, l’abbraccio è cesoia.
Le rose, le cose
il tuo volto di mezzo, la vita.
Ma datemi qualche rumore
che scuota di poco quei petali e poi di rimando
anche il resto, calato nel sonno.
Il solo vibrare sia effetto placebo, per me
audiolesa, sfinita dal guasto.
* * *
Apri-le
Se poi ci pensi Apri-le non è un mese
solo lo schiudersi di un uscio al dopo.
Ti senti attraversata da magnitudini
mentre sei donna e studi la parola
e poi la provochi, la scindi
meglio dei cieli sporchi e
carichi di nuvole, ancora, ancora.
Il cuore è stanco e lo scolpisci
aspetti il verde muto sotto le polveri
ruoti nel tempo, lo sai miracolo ed errore.
La primavera è prato di illusioni
la bugia grande che ti elide tra sonno e fasci
incisi di uno strano sole;
è madreperla
e di imprecise iridescenze gode
infelice.
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Inverno sul nido
Indugia il nido sull’albero
tra spogli rami.
Esita cieli di fioriture smemorate
e tu mi adduci
posseduta, alla materia.
Vado col piede tra assenza
di fili d’erba e stilemi irrisolti.
Confondo i cieli della mente
e le pupille ardiscono
visioni neutre
in questo inverno dell’anima
- aria fredda di vita -.
Rimuove letargie dal magro della terra.
Invidio il bucaneve
che per te si fa ghirlanda.
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Ultrasuoni
A questo paesaggio piatto, senza fianchi
né seni, mi tiene aggrappata la vita
o qualche novembre
che spreme olive come fossero arance
e muove ogni cosa ma in punta di piedi
- il gesto sommesso per cui sono caduta -.
sento la morte venire,
ha un rumore metallico.
Ed io sono vetro;
tintinno.
* * *
Et nunc
Et nunc, fatti, luna, sul pomario
che scorro da un binario infedele.
Bari suona crome morte al mio arrivo
né sono la ragazza dal fiore rosa ai capelli
un solo sedile più in là.
Volgo al termine dopo molte abluzioni
d’acqua e fanghiglia
- tempeste uditive tormentano la memoria -
Non so perché torno alla città:
a lei vengo e l’amo
per gli spazi che sostiene
e mi dividono da...
Pulsa il suo ventre viali alberati
conchiglie, edifici di pietra asprigna
poi
è quiete di policlinico.
Non ha sesso, se non confuso e magrebino;
mi fonde, mi ignora, mi uccide.
La sposo.
* * *
Il canto di Ezia (notturno di donna)
Io non so chi accende la luna
( che tormento di sguardi)
o quest’ aria in odore di campo
quando è maggio.
So che ho mani di pane
che carezzano l’ uomo che amo
in un sogno qualunque
e ricamo la vita sopra un panno sgualcito
non lo stiro;
è una nenia, sedicente visione
ogni notte…ogni notte...
e resistere al sonno è massacro.
A mattina, ridisegno linee oblique in kajal
- ologrammi di malinconia-
Ciglia e rètine ho congeste di sere,
divoranti finzioni di miele, ostinate nullezze
sotto tetti mentali.
* * *
Papaveri
I
Spiazzano il guardo le anime rosse dei papaveri
stanno
spillate su steli verdissimi: gole di donne alla moda, filiformi.
Sanno di certe femminee emorragie
null’altro dicono che il gioco dell’essere
in quel sostare convenzionale quasi indiscusso
( ma solo in apparenza).
Chi li soccorre i papaveri sulla strada statale al km 21
feriti dall’offesa
quando l’estate brucia e li addolora?
Aggrumano l’odore sgarbato della terra
la stessa che prima li sputa fuori, poi li risucchia.
Chiamatemi papavero se tutto questo è vero.
II
Pulsanti sulle tele degli artisti, in sudditanza al sole ,
urlanti i rossi macchiaioli e comunisti
forse solo per rabbia o per vergogna
d’essersi persi in mezzo alla bontà dei grani
più grandi alcuni, altri piccolissimi,
per caso nati … papaveri,
contagiano il campestre e l’inurbano
di un male eritrodermico in distinguo .
Dirompono
o riparano a perimetro sul muro malandato del casale
lo fiutano e comprendono il tanfo dello sghembo
stornellano il dolore a perdifiato
e questo è quel mandato che li appesa.
A notte poi diviene il loro scomparire in nulla ;
se pure immoti
un occhio cieco non li vede, splendesse anche la luna
sul creato.
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