domenica 23 aprile 2017

Apologo - di Menenio Agrippa



« Una volta, le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso [ad attendere cibo], ruppero con lui gli accordi e cospirarono tra loro, decidendo che le mani non portassero cibo alla bocca, né che, portatolo, la bocca lo accettasse, né che i denti lo confezionassero a dovere. Ma mentre intendevano domare lo stomaco, a indebolirsi furono anche loro stesse, e il corpo intero giunse a deperimento estremo. Di qui apparve che l’ufficio dello stomaco non è quello di un pigro, ma che, una volta accolti, distribuisce i cibi per tutte le membra. E quindi tornarono in amicizia con lui. Così senato e popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute. » 



« Olim humani artus, cum ventrem otiosum cernerent, ab eo discordarunt, conspiraruntque ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes conficerent. At dum ventrem domare volunt, ipsi quoque defecerunt, totumque corpus ad extremam tabem venit: inde apparuit ventris haud segne ministerium esse, eumque acceptos cibos per omnia membra disserere, et cum eo in gratiam redierunt. Sic senatus et populus quasi unum corpus discordia pereunt concordia valent. » 





tratto da  https://it.wikipedia.org/wiki/Apologo_di_Menenio_Agrippa 
l'affresco di Cesare Maccari in Palazzo Madama, sala Maccari: Cicerone pronunzia in Senato le Catilinarie. 

martedì 4 aprile 2017

Paesaggio - di Luigi Gualdo






XXXII.

PAESAGGIO 


Tutto riposa al raggio della luna,
Ma il viale è nell'ombra a noi davanti.
S'ergono all'aura in lunga fila bruna
I profili degli alberi giganti.

Biancheggia in fondo tacita la villa
Tutta chiusa, deserta o addormentata.
Non si scorge laggiù lume o scintilla,
Ma la vôlta del ciel tutta è stellata

Un poema infinito ed amoroso
Le foglie vi susurrano giulive...
Il parco nella notte appar festoso
E le statue intraviste quasi vive.

Dormono i nidi ed i fragili fiori
Posan col capo languido che pende,
Si confondon le forme ed i colori...
 - E l'ombroso vial qualcuno attende. -



di Luigi Gualdo
tratto da: Le nostalgie  





venerdì 27 gennaio 2017

Se questo è un uomo - di Primo Levi




Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi. 


di Primo Levi 


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giovedì 12 gennaio 2017

La poesia del mese: La fontana malata, di Aldo Palazzeschi - Gennaio 2017






Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch......
E' giu',
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace....
di nuovo.
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
piu' nulla.
Si tace,
non s'ode
rumore
di sorta
che forse...
che forse
sia morta?
Orrore
Ah! no.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch....
La tisi
l' uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto....
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide    
quel suo
eterno  tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari...
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...


di Aldo Palazzeschi 



https://www.lagone.it/wp-content/uploads/2014/10/fontanelle.jpg



sabato 25 giugno 2016

La poesia del mese: Tramonto estivo, di Mina Campaner - Giugno 2016




























Tramonto estivo


Profumi di resine, timo e salvia
esordio estivo al Varma
essenze foggiate
dal sole e dalla grezza roccia ...
il Cellina
le sue acque azzurro cielo
spumeggianti
tra le sabbie grigie e i ciottoli bianchi
spruzzi di fresca e frizzante condensa
caricano l’aria sul finir del giorno
e noi sdraiati
sopra un vecchio basamento
intenti a giocar con i pensieri
mentre
le ultime luci del giorno si spengono
e vi è solo il silenzio.


di Mina Campaner









foto di Mina Campaner















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venerdì 20 maggio 2016

La poesia del mese: Quando si dissipò bellezza - di Annamaria Giannini - Maggio 2016








Quando si dissipò bellezza



Quando si dissipò bellezza

lei continuò a camminare

e dalla veste bianca caddero

briciole per le formiche attente


Furono milioni i perché raccolti

poche le risposte, ma lei piovve

e continuò a piovere fino a che i piedi

radicarono la terra, fino a che il cielo

scese a toccarle le mani


Ricordo bene il buio e quella luce

tenue a perforarlo a tratti, come

freccia per una via nuova, come

a dire di un Dio bassissimo, d'un tratto

nostro, finalmente vero



di Annamaria Giannini









dipinto di Eduard Gordeevsono
tratto da http://www.vanillamagazine.it/fotografie-di-giornate-di-pioggia-che-sembrano-un-quadro-ad-olio/

venerdì 6 maggio 2016

Rocco Fodale - Per certi versi - LACRIME E FANGO - diversamente alluvionati - Youcanprint


Rocco Fodale - Per certi versi - Lacrime e fango - Youcanprint




L'iniziativa di lavorare ad un'antologia in memoria della tragica alluvione che ha flagellato la provincia di Messina nasce dal desiderio di non lasciare la comunità messinese chiusa nel suo pensiero di abbandono da parte delle autorità e dei media. L'evento che sembra non aver conseguito la giusta attenzione e la stessa partecipazione di altri simili, avvenuti nello stesso periodo - diversamente alluvionati - da parte delle autorità e di tutti gli organi d'informazione, trova dunque larga solidarietà all'interno di quest'antologia che si propone come chiara risposta civile ed umana agli infausti eventi che dall'ottobre del 2009 si sono abbattuti sui paesi di: Giampilieri Superiore, Giampilieri Marina, Altolia, Molino, Santo Stefano di Briga, Briga Superiore, Pezzolo, Guidomandri Superiore, Scaletta Zanclea e Itala. Si esprime la piena solidarietà con l'intera comunità siciliana. Intento di tutti gli autori che hanno collaborato all'antologia, è quello di farsi testimoni di ogni sentimento delle popolazioni alluvionate: paura, delusione, lutto, ma anche speranza, coraggio, fede.

  • Titolo: Lacrime e fango. Diversamente alluvionati 
  • Autore: Rocco Fodale 
  • Editore: youcanprint 
  • Collana: Miscellanea 
  • Data di Pubblicazione: Ottobre 2012
  • ISBN: 8867517627
  • ISBN-13: 9788867517626
  • Pagine: 62

Comprali subito qui Cartaceo o E-book 


Gli autori: 

Balbinetti Sabrina 
Binetti Nunzia 
Bruno Maria Stella 
Burighel Anna 
Catanzaro Francesco Paolo 
Dellaquila  Francesco Paolo 
Di Mario Marisa 
Dipace Cinzia  
Fanotti Lorella 
Farlocco Edoardo 
Fodale Rocco 
Giannini Annamaria 
Moccia Carmine 
Patti Alessio 
Polvani Paolo 
Prigese Tommaso 
Rapisarda Sebastiano 
Regondi Gianluca 
Ronzulli Antonella 
Somma Luciano 
Tallone Luciano 
Tri Sonia 

Viola Angela 


Visia la pagina Facebook di Lacrime e fango 





venerdì 1 aprile 2016

La poesia del mese: Dimmi come si addormenta il mare, di Sonia Tri - Aprile 2016



















Dimmi come si addormenta il mare 


Dimmi
come si addormenta il mare.
Io ho visto onde
abbandonarsi agli scogli
ed altre morsicarli.
Le ho viste parlare tra loro
come donne fuori dalle chiese.
Discrete e fruscianti
in sete nere.
Le ho udite piangere,
adolescenti deluse,
vergini timorate
e le ho spiate, allungarsi al cielo
o forse no.
Era il cielo che s'inginocchiava
ad esse e non riusciva
a toccarle.
Allora dimmi,
come si addormenta il mare,
che il suo silenzio
è solo voce...


di Sonia Tri 






il dipinto Sirene di Gustav Klimt 

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domenica 6 marzo 2016

Il racconto del mese: Caporali si nasce, di Antonio de Curtis - Marzo 2016






Caporali si nasce


L'umanità l'ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. 
Gli uomini sono quelli esseri costretti a lavorare tutta la vita come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza avere mai la minima soddisfazione, sempre nell'ombra grigia di un'esistenza grama. 
I caporali sono, appunto, coloro che sfruttano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno, li troviamo sempre a galla, ai posti di comando, spesso senza averne l'autorità, l'abilità o l'intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il pover'uomo qualunque. 
Caporali si nasce, non si diventa: a qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, hanno sempre le stesse facce, le stesse espressioni, gli stessi modi, pensano tutti alla stessa maniera. 


di Antonio de Curtis 





"Signori si nasce" - olio su tela 30 x40 - di Bibi Guarnieri tratto da: 
http://3.bp.blogspot.com/-TqQGOmfrYWg/UJ7Dgbl8PyI/AAAAAAAAD40/-obtU8-99Po/s1600/SignoriSiNasce.jpg






sabato 5 marzo 2016

Le poesie di Rosaria Fiore


Edward Hopper - The long leg (1935)






























Per fortuna torna sempre l’autunno


Era l'estate di piombo e ceralacca
delle parole morte a pancia all'aria
c'erano teste di cavallo a svegliarmi
c'erano vipere secche in formalina
una sottoveste ancora da scartare

c'erano,
in ordine sparso
cordoni di lenzuola sottotraccia
un elenco di elenchi di cose da scordare
fogli sul muro con il nastro adesivo
e sopra, la tua faccia, la tua faccia sul muro
dei segni rossi delle macchie di sole
e mangiavo in silenzio davanti alle tue parole.

Quando smisi di essere una lucertola
era settembre, e il cielo sorrideva.


* * * 


"Ancora" 


Oggi mi porto a letto
un peccato di rifiuto

lo sconosciuto era dolce, per strada,
quando con voce di verità mi ha detto
"siete ancora bella"

oggi mi porto a letto
un dolore di rimpianto

è sempre un attimo più tardi
che ricordiamo di non aver detto grazie

non c'era tempo per tornare indietro
a toccargli le mani
a dirgli mi hai colpita
là dove fa più male,
con quella tua parola.

Quella parola in più


* * * 


Segni di croce furtivi


La mattina
è crema che cola
la sveglia
tortura il silenzio.

Hai la faccia perplessa e indignata
di chi è vittima di un malinteso

ma quando pensi
che io non ti guardi
colgo piccoli
segni di croce furtivi.

Mamma, in questo deserto di creta
il tuo respiro è misura del tempo.


* * * 


Ottobre, poi ottobre, poi un altro ottobre ancora


Quando tu c'eri, ti lasciavo partire.
Com'era dolce la solitudine, allora!
Mi piacevano le vacanze da soli.

Ogni sera mi separavo, libera, dal giorno in frantumi
viaggiando in discesa verso la notte.

Eri tu nello sfondo la colonna sonora di ogni nascondimento,
quando a rimbalzo tagliavo a pezzi le ore,
sciolta dai tuoi silenzi.

Talvolta un dio si concedeva a me per un istante
e sorridevo, di quel sorriso di donna
quando la sua bellezza ha la forma di una goccia che cade.

A ogni ritorno
era il canto della carne
il segno della mia abdicazione.

Ero io, allora, a fuggire
la grandine dei baci,
i discorsi che avevano il sapore del tabacco,
il lattice dei tuoi occhi ammalianti d'amore.

Inseguiti dalla nostra stessa magia
camminavamo contro i muri
per conservare in tasca qualcosa di noi.

Com'era cara la solitudine, allora.


* * * 


Samsara


C'è una girandola alla finestra
e un gallo di ferro sul tetto.
Mi raccontano il vento che cambia
la saggezza e l'abbandono.

La lancia si è spezzata nel mulino,
dondola impazzita sotto un altro cielo.

Cerco segni nel mondo
chiedo ad ogni sibilla che incontro,
ognuna risponde a metà:
andrai, tornerai, troverai, svanirai.

La pelle si fende in esili trame
attendo trasmutazioni
invidiando le onde


* * * 


No Prozac for me


Era il giorno del non compleanno
era il giorno dei capelli di sale
delle meduse blu da collezione
delle carezze da farci una collana.

L'uomo aquilone impigliato nel sambuco
si dondolava a un vento trasognato
aveva in faccia una smorfia di passione
- io, l'allegria dei pazzi miracolati -

e camminavo facile come un tapis roulant
mi trasportava a vela qualcosa nella testa
dicevano (delle ghirlande): appassiranno,
rispondevo: oggi è festa, dopo ci penserò.


* * * 


L’ultima ora di Virginia Woolf


Instabile ossessivo luccichio d’azzurro
non sarei mai dovuta ritornare qui
dove ogni ondata abbatte la mia mente
e capovolge tutto un’altra volta
riva presente cielo movimento
né più né mai speranza casa terraferma
solo una devastante nostalgia nel ventre
di arrendermi supina all’orizzonte. 


Con questa lirica, L’ultima ora di Virginia Woolf , Rosaria Fiore è stata proclamata Poeta del Mese di Ottobre su OublietteMagazine.
in http://oubliettemagazine.com/2011/11/09/rosaria-fiore-vincitrice-della-sezione-a-de-anche-tu-su-oubliette-mese-di-ottobre-2011/


* * * 

Giovanni Boldini - La divina blu (1905) 




Il quadro di Hopper è tratto da:  
https://pitturiamo.wordpress.com/2013/11/15/edward-hopper-lartista-del-silenzio/ 

Il quadro di Boldini è tratto da: 
http://www.artribune.com/2015/03/giovanni-boldini-non-solo-fashion/ 

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domenica 28 febbraio 2016

Le poesie di Miriam Bruni







Sono nata e cresciuta a Bologna, ho due figli. Dopo la Laurea in Lingue e Letterature straniere mi sono abilitata all’insegnamento dello Spagnolo. Amo la scrittura e la poesia sin da bambina. Da alcuni anni anche la fotografia e le altre arti! Scrivendo metto a fuoco le esperienze vissute, metto a nudo il mio cuore e cerco il bene, l’oltre delle cose, l’essenza profonda e risonante. Tendo alla massima concentrazione. 
Mie poesie sono state pubblicate su numerose antologie e riviste o a seguito di selezioni e concorsi letterari. Ho dato alle stampe due libri: “Cristalli” edito da Booksprint, 2011 “Coniugata con la vita. Al torchio e in visione” edito da Terra d’Ulivi, 2014.


* * *


Era ferma al binario
al suo fianco. Ma due treni vicini
non sanno chi parte, chi resta, al primo
mutare del mondo. Lo guardava e restava
a sognare un avvenire vivace, migliore.
Ma ha avvertito un mutamento
radicale: era lui, che se ne andava.
Per non tornare.


* * *


Restiamo spesso soli
a custodire ciò che vale,
coperti da una nebbia
che è solita mentire.


* * * 


…Perché perdere qualcosa
che potevi stringere – esisteva!
è un ascetismo strano, un dolore
quotidiano.
Al polo opposto i fendenti di vita
che ricevo al mattino, se costeggio
serena dei prati la brina…


* * *


Era così altissimo
che più nessuna cosa
poteva fargli ombra

Petto nudo in pieno sole
Non se l’aspettava
Le hai bucato il cuore


* * *


Non so svincolarmi dal Riconoscimento.
E' forse questo il mio labirinto?

Resto immobile tra le sue spire; perduta
ogni consueta cognizione del tempo.

Lascio i codici e divento spiga
- vuota clessidra - liberata dalla polvere

dei ruoli, dalle leggi gravitazionali.
E' come una corrente, un riverbero

del divino fulgore che conosce il mio nome
e lo sa pronunciare. Quando chiama

il battito mio si accende, lo riama,
rimbalza fin sotto la gola, fin oltre le spalle.

Poi mi cola dentro, e riporta in alto
quel che giace sul fondo, troppo in silenzio.


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Dipinto tratto da www.faberarte.it

lunedì 1 febbraio 2016

Il racconto del mese - Il lupo e l'agnello, testi di Esopo, Fedro, La Fontaine, Trilussa - Febbraio 2016





Il lupo e l'agnello di Esopo (1)


Un lupo, avendo visto un agnello che beveva da un fiume, decise di divorarlo con un buon pretesto. Perciò, collocatosi più a monte, lo accusò di intorbidire l'acqua e non lasciarlo bere. E siccome quello diceva che (lui) beveva con l'estremità delle labbra e d'altra parte non gli (era) possibile, stando più avalle, agitare l'acqua a monte, il lupo, privato di questo pretesto, disse: "Ma l'anno scorso hai insultato mio padre." Ed avendo quello detto che allora non era ancora nato, il lupo gli disse: "Quindi, se tu sei ben fornito di argomenti di difesa, io non ti potrò mangiare?"
Il racconto dimostra che neppure una giusta difesa ha effetto con coloro per i quali il proposito è (quello di) fare un torto.


Λύκος θεασάμενος ἄρνα ἀπό τινος ποταμοῦ πίνοντα τοῦτον ἠβουλήθη μετ' εὐλόγου αἰτίας καταθοινήσασθαι. διόπερ στὰς ἀνωτέρω ᾐτιᾶτο αὐτὸν ὡς θολοῦντα τὸ ὕδωρ καὶ πίνειν αὐτὸν μὴ ἐῶντα. τοῦ δὲ λέγοντος, ὡς ἄκροις τοῖς χείλεσι πίνει καὶ ἄλλως οὐ δυνατὸν αὐτῷ ἑστῶτι κατωτέρω ἐπάνω ταράσσειν τὸ ὕδωρ, ὁ λύκος ἀποτυχὼν ταύτης τῆς αἰτίας ἔφη· ἀλλὰ πέρυσι τὸν πατέρα μου ἐλοιδόρησας. εἰπόντος δὲ ἐκείνου μηδέπω τότε γεγενῆσθαι ὁ λύκος ἔφη πρὸς αὐτόν· ἐὰν οὖν σὺ ἀπολογιῶν εὐπορῇς, ἐγώ σε οὐ κατέδομαι;
ὁ λόγος δηλοῖ, ὅτι οἷς ἡ πρόθεσίς ἐστιν ἀδικεῖν, παρ' αὐτοῖς οὐδὲ δικαία ἀπολογία ἰσχύει.


* * * 


Il lupo e l'agnello di Fedro (2)


Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere nello stesso ruscello. Il lupo era più a monte, mentre l'agnello beveva a una certa distanza, verso valle. La fame però spinse il lupo ad attaccar briga e allora disse: "Perché osi intorbidarmi l'acqua?" 
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.
Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.



Ad rivum eundem Lupus et Agnus venerant siti compulsi: superior stabat Lupus, longeque inferior Agnus: tunc fauce improba latro incitatus jurgii causam intulit. Cur, inquit, turbulentam fecisti mihi istam bibenti? Laniger contra timens, qui possum, quaeso, facere quod quereris, Lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor. Repulsus ille veritatis viribus, ante hos sex menses male, ait, dixisti mihi. Respondit Agnus: equidem natus non eram. Pater hercle tuus, inquit, maledixit mihi. Atque ita correptum lacerat injusta nece.
Haec popter illos scripta est homines fabula, qui fictis causis innocentes opprimunt.



* * * 


Il lupo e l'agnello di La Fontaine (3)


La favola che segue è una lezione
che il forte ha sempre la miglior ragione.

Un dì nell’acqua chiara d’un ruscello
bevea cheto un Agnello,
quand’ecco sbuca un lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì,
che pien di rabbia grida: - E chi ti ha detto
d’intorbidar la fonte mia così?

Aspetta, temerario! - Maestà, -
a lui risponde il povero innocente, -
s’ella guarda, di subito vedrà
ch’io mi bagno più sotto la sorgente
d’un tratto, e che non posso l’acque chiare
della regal sua fonte intorbidare.

- Io dico che l’intorbidi, - arrabbiato
risponde il Lupo digrignando i denti, -
e già l’anno passato
hai sparlato di me. - Non si può dire,
perché non era nato,
ancora io succhio la mammella, o Sire.

- Ebbene sarà stato un tuo fratello.
- E come, Maestà?
Non ho fratelli, il giuro in verità.
- Queste son ciarle. È sempre uno di voi
che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.
Di voi, dei vostri cani e dei pastori
vendetta piglierò -.
Così dicendo, in mezzo alla foresta
portato il meschinello,
senza processo fecegli la festa.



Le Loup et l'Agneau

La raison du plus fort est toujours la meilleure :
Nous l'allons montrer tout à l'heure.
Un Agneau se désaltérait
Dans le courant d'une onde pure.
Un Loup survient à jeun qui cherchait aventure,
Et que la faim en ces lieux attirait.
Qui te rend si hardi de troubler mon breuvage ?
Dit cet animal plein de rage :
Tu seras châtié de ta témérité.
- Sire, répond l'Agneau, que votre Majesté
Ne se mette pas en colère ;
Mais plutôt qu'elle considère
Que je me vas désaltérant
Dans le courant,
Plus de vingt pas au-dessous d'Elle,
Et que par conséquent, en aucune façon,
Je ne puis troubler sa boisson.
- Tu la troubles, reprit cette bête cruelle,
Et je sais que de moi tu médis l'an passé.
- Comment l'aurais-je fait si je n'étais pas né ?
Reprit l'Agneau, je tette encor ma mère.
- Si ce n'est toi, c'est donc ton frère.
- Je n'en ai point. - C'est donc quelqu'un des tiens :
Car vous ne m'épargnez guère,
Vous, vos bergers, et vos chiens.
On me l'a dit : il faut que je me venge.
Là-dessus, au fond des forêts
Le Loup l'emporte, et puis le mange,
Sans autre forme de procès.


* * * 


L'agnello infurbito di Trilussa (Carlo Alberto Salustri) (5) 


Un Lupo che beveva in un ruscello
vidde, dall’antra parte de la riva,
l’immancabbile Agnello.
— Perché nun venghi qui? — je chiese er Lupo —
L’acqua, in quer punto, è torbida e cattiva
e un porco ce fa spesso er semicupo (4) 
Da me, che nun ce bazzica er bestiame,
er ruscelletto è limpido e pulito… —
L’Agnello disse: — Accetterò l’invito
quanno avrò sete e tu nun avrai fame.


* * * 



1 - Il testo e la traduzione sono tratti da: 
http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/tt2/Esopo/Esopo160.html

2 - La traduzione moderna ed il testo latino sono tratti da: 
http://www.letturegiovani.it/Fedro/LupoAgnello.htm

3 - dal Libro primo delle Favole. Testo italiano tratto da: 
https://it.wikisource.org/wiki/Favole_(La_Fontaine)/Libro_primo/X_-_Il_Lupo_e_l%27Agnello
la versione francese è tratta da: 
http://poesie.webnet.fr/lesgrandsclassiques/poemes/jean_de_la_fontaine/le_loup_et_l_agneau.html 


(4) er semicupo: il bagno 

(5) Il testo è tratto da: 
http://photosurf.danielepanareo.it/lagnello-infurbito/ 

L'immagine di Laurakgibbs è tratta da: 
https://www.flickr.com/photos/38299630@N05/3677119194 





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sabato 2 gennaio 2016

La poesia del mese - Quanto ti ho amato, di Alda Merini - Gennaio 2016









Quanto ti ho amato


Quanto ti ho amato Pierri
tu non lo saprai mai:
molto più dell'ape
che punge il suo fiore;
molto più della pioggia
che bagna il pineto.
Ti ho amato forse,
se mi è lecito dirlo,
più di quanto Dio
ami l'uomo.
E per amarti meglio
avrei voluto essere bella
come il silenzio
o come una sfera di stelle.
Ma le mie proprietà
erano miserevoli
e tremavo,
tremavo di passione
senza potertelo dire.


di Alda Merini 





l'immagine è tratta da: http://photo.jellyfields.com/image/F@1/8883387637/z/lucia-mondini,woman-window-girl-hair-ventana-donna-mujer-chica-femme-wb-bn-finestra-fille-fenetre-ragazza.jpg

martedì 17 novembre 2015

La poesia del mese - Avevo una scatola di colori - di Tali Sarek - Novembre 2015









Avevo una scatola di colori,
brillanti decisi e vivi
avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, alcuni molto freddi.
Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti,
non avevo il nero
per il pianto degli orfani,
non avevo il bianco
per il volto dei morti
non avevo il giallo
per le sabbie ardenti.
Ma avevo l'arancio
per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste per i chiari
cieli splendenti
e il rosa per il sogno e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.


di Tali Sarek
dipinto di Anna Burighel




il dipinto si trova anche nel libro: 
Rocco Fodale - Lacrime e fango - diversamente alluvionati - Youcanprint 




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sabato 14 novembre 2015






"Non è necessario avere una religione per avere una morale. Perché se non si riesce a distinguere il bene dal male, quella che manca è la sensibilità, non la religione". 

Margherita Hack 



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giovedì 1 ottobre 2015

La poesia del mese - L'infinito, letto da Nando Gazzolo - di Giacomo Leopardi - Ottobre 2015





L'infinito, di Giacomo Leopardi
letto magistralmente da Nando Gazzolo


fonte: https://www.youtube.com/watch?v=Te8tyDDsh2A


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martedì 29 settembre 2015

Le poesie di Edmondo De Amicis





A Mia madre (1882) 


Non sempre il tempo la beltà cancella
O la sfioran le lacrime e gli affanni;
Mia madre ha sessant’anni,
E più la guardo e più mi sembra bella.

Non ha un detto, un sorriso, un guardo, un atto
Che non mi tocchi dolcemente il core;
Ah se fossi pittore
Farei tutta la vita il suo ritratto.

Vorrei ritrarla quando inchina il viso
Perch’io le baci la sua treccia bianca,
O quando inferma e stanca
Nasconde il suo dolor sotto un sorriso.

Ma se fosse un mio prego in cielo accolto
Non chiederei del gran pittor d’Urbino
Il pennello divino
Per coronar di gloria il suo bel volto;

Vorrei poter cangiar vita con vita,
Darle tutto il vigor degli anni miei,
Veder me vecchio, e lei
Dal sacrifizio mio ringiovanita.


* * * 


Gli Emigranti  (1882) 


Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stenti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.

E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!

E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.

Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire....
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.

Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.

Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.


di Edmondo De Amicis 


tratto dalla raccolta "Sull'Oceano" 



* * * 


Mezzogiorno


Alla vampa del sol meridïana
Chiusa è la stanza, ed io seggo, insonnito;
E sento giù per un sentier romito
La canzone morir d’una villana.

Quindi un alto silenzio, una sovrana
Pace sembra regnar nell’infinito:
Sol tratto tratto nel giardin sopito
Frulla un’ala tra i rami e s’allontana.

E dalla muta cameretta oscura,
Fantasticando, con lo sguardo fiso
Delle socchiuse imposte alla fessura,

Veggo di là dai verdi piani immensi
La piramide bianca del Monviso,

Che domina il Piemonte, e par che pensi.


tratto da Poesie (1882) 



.






lunedì 7 settembre 2015

La poesia del mese: E l'amore guardò il tempo - di Luigi Pirandello - Settembre 2015






E l’amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno,
e di rifiorire alla sera,
senza leggi da rispettare.
Si addormentò in un angolo di cuore
per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.



di Luigi Pirandello 





L'immagine è trata da: https://www.blendspace.com/lessons/xGfrc_Nv4BSKKw/pirandello 

sabato 1 agosto 2015

La poesia del mese - Gli Emigranti, di Edmondo De Amicis - Agosto 2015







































Gli Emigranti  (1882) 


Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stenti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.

E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!

E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.

Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire....
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.

Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.

Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.


di Edmondo De Amicis 


tratto dalla raccolta "Sull'Oceano"




Dipinto di Antonio Berni 1905, Rosario, Argentina - 1981, Buenos Aires, Argentina 




venerdì 19 giugno 2015

La poesia del mese: Non cercare mai di dire il tuo amore - di William Blake - Luglio 2015

























Non cercare mai di dire il tuo amore


Non cercare mai di dire il tuo amore
amore che mai non si può dire;
perché il vento gentile si muove
silenzioso, invisibile.

Ho detto il mio amore,
ho detto il mio amore,
le ho detto tutto il mio cuore;
tremante, gelido, in terribili paure
ah, se ne va via.

Non appena se ne fu andata da me
uno straniero passò per caso;
silenzioso, invisibile
oh, non ci fu rifiuto. 


* * * 


Never pain to tell the love (*)


Never pain to tell the love,
Love that never told can be;
For the gentle wind does move
Silently, invisibly.
I told my love, I told my love,
I told her all my heart;
Trembling, cold, in ghastly fears,
Ah! she doth depart.
Soon as she was gone from me,
A traveller came by,
Silently, invisibly;
Oh was no deny. 









(*) Versione definitiva, secondo l'edizione di Dante Gabriel Rossetti.


fonti: https://en.wikipedia.org/wiki/Never_seek_to_tell_thy_love

la foto è tratta dal film "Casablanca" (Warner Bros. 1942)  
in http://d12vb6dvkz909q.cloudfront.net/uploads/galleries/36070/casablanca-2.jpg