martedì 2 giugno 2015

Ode al corbezzolo - Poesia di Giovanni Pascoli



























Nota alla lettura (di Rocco Gio Fodale) 


In questa poesia Giovanni Pascoli celebra l'Italia e la sua bandiera. In maniera simbolica propone un parallelismo tra il cespuglio di corbezzolo ed il tricolore, esprimendo il proprio sentimento nazionalistico, molto forte al suo tempo. Egli si rifà all'XI canto dell'Eneide di Virgilio (versi 64-65), in cui è descritto il feretro di Pallante (figlio di Evandro, alleato di Enea, contro Turno, giovane e bellissimo re dei Rutuli) tessuto di rami di corbezzolo. Enea è predestinato ad essere progenitore di Roma e degli Italici. Così per Pascoli, grande classicista, il giovane Pallante diventa il primo eroe caduto per la Patria.
Le foglie del corbezzolo, nel periodo natalizio, sono verdi, i suoi fiori sono bianchi e le sue bacche rosse, gli stessi colori della bandiera italiana. Quindi trasfigura l'eroe Pallante in un tricolore come “ primo eroe caduto / delle tre Rome”. Così Pallante è considerato come primo eroe morto per la causa nazionale, ed il corbezzolo prefigurato come tricolore. Oggi questo arbusto è considerato “pianta nazionale” e nei giardini del Quirinale, accanto a lecci, gruppi di palme e siepi sempreverdi, è piantumato un umile cespuglio di corbezzolo.
“[...] i bianchi fiori metti quando rosse / hai già le bacche, e ricominci eterno, / quasi per gli altri ma per te non fosse / l’ozio del verno / o verde albero italico [...]”.





ODE AL CORBEZZOLO 


O tu che, quando a un alito del cielo
i pruni e i bronchi aprono il boccio tutti,
tu no, già porti, dalla neve e il gelo
salvi, i tuoi frutti;

e ti dà gioia e ti dà forza al volo
verso la vita ciò che altrui le toglie,
ché metti i fiori quando ogni altro al suolo
getta le foglie;

i bianchi fiori metti quando rosse
hai già le bacche, e ricominci eterno,
quasi per gli altri ma per te non fosse
l’ozio del verno;

o verde albero italico, il tuo maggio
è nella bruma: s’anche tutto muora,
tu il giovanile gonfalon selvaggio
spieghi alla bora:

il gonfalone che dal lido estrusco
inalberavi e per i monti enotri,
sui sacri fonti, onde gemea tra il musco
l’acqua negli otri,

mentre sul poggio i vecchi deiformi
stavano, immersi nel silenzio e torvi
guardando in cielo roteare stormi
neri di corvi.

Pendeva un grave gracidar su capi
d’auguri assòrti, e presso l’acque intenta
era al sussurro musico dell’api
qualche Carmenta;

ché allor chiamavi come ancor richiami,
alle tue rosse fragole ed ai bianchi
tuoi fiori, i corvi, a un tempo, e l’api: sciami,
àlbatro, e branchi.

Gente raminga sorveniva, e guerra
era con loro; si sentian mugliare
corni di truce bufalo da terra,
conche dal mare

concave, piene d’iride e del vento
della fortuna. Al lido navi nere
volgean gli aplustri con d’opaco argento
grandi Chimere;

che avean portato al sacro fiume ignoto
un errabondo popolo nettunio
dalla città vanita su nel vuoto
d’un plenilunio.

Le donne, nuove a quei silvestri luoghi,
ora sciogliean le lunghe chiome e il pianto
spesso intonato intorno ad alti roghi
lungo lo Xanto;

ed i lor maschi voi mietean di spada,
àlbatri verdi, e rami e ceree polle
tesseano a farne un fresco di rugiada
feretro molle,

su cui deporre un eroe morto, un fiore,
tra i fiori; e mille, eletti nelle squadre,
lo radduceano ad un buon re pastore,
vecchio, suo padre.

Ed ecco, ai colli giunsero sul grande
Tevere, e il loro calpestìo vicino
fugò cignali che frangean le ghiande
su l’Aventino;

ed ululò dal Pallantèo la coppia
dei fidi cani, a piè della capanna
regia, coperta il culmine di stoppia
bruna e di canna;

e il regio armento sparso tra i cespugli
d’erbe palustri col suo fulvo toro
subitamente risalia con mugli
lunghi dal Foro;

e là, sul monte cui temean le genti
per lampi e voci e per auguste larve,
alta una nera, ad esplorar gli eventi,
aquila apparve.

Volgean la testa al feretro le vacche,
verde, che al morto su la fronte i fiocchi
ponea dei fiori candidi, e le bacche
rosse su gli occhi.

Il tricolore!… E il vecchio Fauno irsuto
del Palatino lo chiamava a nome,
alto piangendo, il primo eroe caduto
delle tre Rome.



di Giovanni Pascoli 










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foto tratta da: http://roma.repubblica.it/cronaca/2013/11/03/news/spettacolo_delle_frecce_tricolori_roma_festeggia_il_4_novembre-70111674/


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