mercoledì 27 maggio 2015

La poesia del mese - Piccoli morsi dell'amore cannibale - di Paolo Polvani - Maggio 2015


















PICCOLI MORSI DELL’AMORE CANNIBALE


Vieni, diceva con la voce intinta
nel più profondo miele, vieni che ti
sbrino il cuore, ti sciolgo
questi ghiacci eterni, ti lancio
l’autostima in orbita, in eccesso
di erezione l’ego, ti titillo
la vanità. E intanto pregustava
il sangue come un trofeo di caccia,
uno stendardo, e affilava la lama.
Perché l’amore non è faccenda
per gente sana, t’insinua l’illusione
della felicità da bere a sorsi
ma poi ti atterra, ti divora a morsi.


di Paolo Polvani 





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Nota di lettura (di Francesca de Santis) 

Davvero insolita questa lirica d’amore di Paolo, fuori dai canoni di filoni e generi letterari che celebrano il più declamato dei sentimenti umani e il più trito. Una sorta di “amore criminale” descritto nel suo cruento evolversi; narrato non come passione ma come insania, non quale dono ma furto, non fusione di anime e possesso di corpi ma prepotente fagocitare che assimila l’altro in me e a me.
Vieni – vieni è la voce suadente che promette il dolo, e il miele sarà ben presto fiele. Sbrinerà, scioglierà i tuoi ghiacci ma affogherai nell’acqua. Avrai l’autostima in orbita ma ti disintegrerai nel nulla. Raddrizzerà il tuo Ego, ma poi sarai nessuno. E come un solletico sarà dolore la tua vanità.

Questo sembra dire il Poeta attraverso una serie di metafore, per poi varcare il campo semantico della caccia. E senti l’odore ferruginoso del sangue e del coltello mentre la coppia di termini trofeo e stendardo inneggiano al trionfo del predatore. E’ la “patologia” che ruba la scena al “pathos”; è l’umana sete di felicità che ci si illude di poter placare amando; e non ti accorgi che t’ha fatto volare in alto e sei precipitato, ti ha promesso nutrimento e s’è nutrito di te, selvaggiamente ti ha divorato a piccoli morsi.

Geniale l’utilizzo dei termini titillare ed erezione in un contesto lessicale e in un campo semantico diverso da quello cui di norma appartengono, il che contribuisce a ricordare al lettore che l’Eros non manca in questi versi; si è solo consapevolmente trasformato in quello che in fondo è l’Amore: possesso, prepotenza, violenza, intrusione, invasione, strappo, e a volte persino eutanasia di un’esistenza. Un gioco “d’azzardo”, un gioco senza regole o, se volete, il più strano gioco di ruoli, in cui carnefice e vittima si confondono, si inseguono, si incontrano e si scontrano, si perdono e si ritrovano, e così all’infinito.

Solo tredici versi, in cui Polvani fa sfoggio della sua perizia compositiva, del suo personalissimo stile, del suo genio poetico. Da notare, in quanto a forma, il costante ricorso all’inarcatura (più o meno forte) fino al dodicesimo verso: non c’è enjambement fra gli ultimi due versi, forse a voler placare il rincorrersi dei concetti, che si avverte in tutta la lirica, optando per una chiusa statica che renda bene l’irreversibilità della situazione. E, tra l’altro, sono gli unici versi a rimare, in una rima... baciata. 



dipinto: Il bacio (particolare) - Gustav Klimt (1907-08 - Österreichische Galerie Belvedere di Vienna)  

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