Carina Spurio è nata a Teramo. Si è diplomata all’Istituto Magistrale Giannina Milli di Teramo. Ha scritto e pubblicato cinque raccolte poetiche: Il Sapore dell’estasi, 2005 Edizioni Kimerik, riproposto in edizione aggiornata nel 2006, Lacca di Garanza, 2007 Ed. Il filo s.r.l Roma. Tra Morfeo e vecchi miti, 2008 Ed. Nicola Calabria Editore. Narciso Evoè Edizioni, 2009. Le sue poesie sono state pubblicate in 40 Antologie Poetiche. Due sue Antologie Poetiche sono testo scolastico: Antologia “I Nuovi Poeti Italiani”, 2007 e “Conoscere la Metrica” attraverso i Poeti Classici Contemporanei, 2008, entrambe edite da Vincenzo Grasso Editore. Una sua poesia è stata pubblicata sul mensile Internazionale di cultura poetica “Poesia” di Crocetti editore. Collabora con: "Hermes" Periodico Mensile Di Informazione e Cultura, L’Aquila, "Teramani.net", "L'estroVerso", informazione, attualità e cultura, Catania. "Gente & Piazza" mensile, Lanciano (Ch). “Piazza Grande”, Teramo. "Il mascalzone.it" San Benedetto del Tronto. "Il capoluogo.it" L'Aquila. "Osservatorio Letterario" Ferrara e l'Altrove. “Portalemarche. Eu”.”Marche Cultura”. “Oubliettemagazine”. “Lo strillone” di Roseto degli Abruzzi.
Nove poesie dalla raccolta inedita “Sporca Chimera”
Sporca chimera
Mi respiri dentro
quasi vicino alla vita
che ora ci lega
tra una sillaba e il cuore
appena incollati
ad una sporca chimera
nello spazio senza confini
di un fragile sogno
in cui tutto vuoi darmi,
ma io prendo soltanto
e spoglio dagli incubi
il vecchio dolore,
e se tutto passa da sempre,
per poco ritorna,
nel punto dove si uniscono
le tue, le mie fantasie,
prima che il buio ci avvolga
come orfani senza più pace.
* * *
Qualcosa di me
Mi togli fiato e parole
negli attimi lenti
di un giorno qualunque
che s’infila nelle curva
di un rosso tramonto
tra anelli di fumo
che si espandono
e si intrecciano
in ritmiche pause
dentro la malinconia
di uno spesso silenzio
che labbra mute
rendono eterno.
S’impara, sempre dopo s’impara,
che i baci non sono promesse
e il domani riflesso nel cerchio
dei tuoi occhi è troppo fragile,
eppure, ancora ti guardo,
fissato sulla tela del tempo
tra i colori e un momento
che trattiene qualcosa di me.
* * *
La trama del fato
Taglio le gambe alle nuvole
di primavera inoltrata
al punto da dimenticare
ciò che eravamo noi;
molto più di qualcosa,
meno di un lecito amore
e scrivo di te,
rude essere nato
dall’uovo di madre
e dal solito padre
che tagli le ali ai miei sogni
al punto da dimenticare
tra conflitti e ricatti
i secoli in cui hai amato,
odiato, tradito,
e solo adesso
dal fluido nero
tra le mie rigide dita,
esprimi a mio modo
il tuo essere fragile,
mentre racconto
la trama del fato
che intreccia ancora
le nostre effimere vite.
* * *
Passi incerti
Fugge lontano oltre la sera
l’ultimo pensiero mio,
mi stringe la gola
e corre su è giù per la carne
senza nemmeno volare,
si cela nel tremore
di un battito stanco
nel senso di buie notti
trascorse colmando silenzi,
lento lento mi sfiora,
come il più bello dei desideri.
Cosa siamo io e te?
Eterni passi incerti
che camminano da sempre
sulle nostre umane paure
oppure, un sospiro finito
su tenere labbra serrate?
Non ti fermai
mentre le gocce amare
caddero libere sul volto mio,
né tu, fermasti me.
* * *
Sulla terra
Arrivammo
tra le nuvole e le piogge
senza un vero perché,
dopo aver dimenticato
l’antica paura
che vanifica il nostro essere
ed apre quel vuoto
privo di protesi
colmo solo di tragici silenzi
dentro le stanche ore
di un freddo novembre
in cui come un albero
privo di foglie
bagnai le radici mie
nel tuo mare
per fiorire ancora
in silenzio.
* * *
Passione
In un giorno che non ricordo
il tempo venne a svestire
i minuti dell’attesa
e il buio della notte
nascose nel mantello degli attimi
il colore della passione.
Di me e di te raccontai
ad una parola scura
incisa sul foglio del fato,
imbevuta di rassegnazione
e di ipotetici futuri,
legata al filo degli istanti
come un anello che stringeva
i polsi dello spettro
della mia solitudine
in cui pezzi d’amore
si masturbavano sulle gambe
delle pallide nuvole,
ed io, con i mano i miei giorni
seduta sul ciglio del mondo
inseguivo un sogno
appeso ad un triangolo di stella
che punteggiava un aborto d’amore.
Così, ti celai nel mio fiato
per non lasciarti andare
e tutto ciò che non volevo scrissi,
inghiottendoti per pochi istanti
in fondo ai miei ultimi respiri
ancora aggrappata ai tuoi fianchi
ed alla vita che si faceva carne,
mentre impastavo la sabbia dei giorni
in attesa di chiedere a Dio, perché!
* * *
Ritorno
Con un pugno
di illusioni da soffiare
sulla strada del vento
arrivammo,
qualcuno nasceva,
altri correvano
sui corridoi d’agonia
senza un nome
con cui chiamare
la disperazione.
Mentre altrove
brillerà un altro sole,
torneremo.
* * *
Il filo del tempo
Un giorno ti legasti
al filo del mio tempo,
quando nella terra
del mio destino,
fiorivano gli inganni
che come stormi
di folli pensieri
ferivano il presente.
Per un attimo, camminai
nel bosco dei respiri,
bruciando radici
per sedurre l’attesa
e cercai l’incantesimo
nel ventre della madre terra
stretta nel morso dell’angoscia
privo di parole,
muta, come una foglia.
* * *
Tempo
Insonne aspetto l'alba,
anche questa notte passerà,
cosciente o incosciente
di ciò che sarà.
Mi avvolgi nel tuo ritmo antico,
come un vecchio mutamento
che non sconta affanni.
* * * * * * * * *
Frenesia moderna
Ho le gambe dolenti
per un conflitto innato con
il movimento: quella frenesia
moderna degli arti molto
in voga a cui non mi adeguo.
Vorrei salire con un balzo leggero
su ogni gradino, correndo
verso il quarto piano, addentrarmi
agilmente nello spazio
con finto andare e sorvolare
su un fremito di vita.
Aprire la porta cigolante
del mio monolocale
nel solito atto poco prima
della sera e scartare pigramente
i cibi freddi in monoporzioni
sotto lo sfondo del mio soliloquio
in cui bramo l’amore leggenda
e mi nutro davanti ad un monitor
che mi avvicina con le dita
a tutti i fantasmi virtuali
prima di piegarmi su me stessa
per dormire appoggiata sul
rigido gomito dentro una notte
che mi ha visto altre volte
in questa casa deserta.
Non è mai tempo sprecato
il tempo dedicato a noi stesse,
non lo è nemmeno l’amore
quando non c’è, anche se
spesso, lo sai solo dopo.
* * *
Madre
Ti osservo dormire nel calco del tuo sonno
mentre ignori di non poter ricordare.
Chissà se ti ricordi di me che ti sfioro le dita
e disegno sulla tua pelle geografie inesistenti!
Mi ha detto il vento che tra poco ci lascerai,
volerai verso il padre del cielo.
Mi manchi e mi manco anch’io,
non sai cosa darei per non lasciarti andare.
L’eco del silenzio mi convince che tutto ciò
che posso scrivere sul dolore è stato già scritto prima.
* * *
Sono me
Sono una donna tremenda.
Non porto anelli, né trucchi.
Non porto abiti, né fluidi anti rughe.
Sono una donne sconclusionata,
porto scompiglio nei tuoi pensieri.
Non mi nascondo nelle tue trincee
per fare una guerra per te.
Non scaverò madre terra
per averti solo per me.
Non mi unirò ad una lotta
armata di donne.
Non camminerò mai al tuo fianco
e non vivrò mai con te
Morirò lontano da te.
Ma dentro di me
non pretenderò di negarti
il diritto di vivere
appoggiato al mio seno.
Siamo gli eroi
della nostra distruzione,
e mi batterò ancora
per altre mille vite,
per ricordarti questa cosa
maledettamente importante.
* * *
Nota autobiografica di Carina Spurio
Scrivo poesie. Vivo a metà tra la donna - mamma e le nuove donne onnipotenti, che iniziano a stirare le prime rughe dal chirurgo plastico, per paura di recitare la loro parte quando la materia perderà consistenza. Scrivo; per non essere schiava o girare come un’ape svagata e annoiata. Svagata lo sono, certo. E’ che vorrei evitare la strada del solito nulla, la routine assassina, i dialoghi anoressici e i soliloqui che arrivano in tarda età, tempo in cui, figli distratti e fidanzati imbarazzati si congedano con la fretta di correre incontro alla vita. Scrivo, non perché sia un gesto eccezionale, né per un contenuto ambizioso. Scrivo per me, a prescindere. Ho scelto di imbrattare quel candido bianco tra vocali e consonanti per profanarlo, invece di essere reduce da riti alla moda. La realtà, nelle pagine bianche, sembra essere meno dura, non crolla come un’impalcatura nel quotidiano che consuma. Durante gli anni in cui trascrivo le inutili parole che si avvitano senza sosta sulla lingua pubblico: Il Sapore dell’estasi 2005 Edizioni Kimerik, riproposto in edizione aggiornata nel 2006. Lacca di Garanza 2007 Ed. Il filo s.r.l Roma. Tra Morfeo e vecchi miti 2008 Ed. Nicola Calabria Editore. Nel 2009, dopo quattro anni dall’esordio, arriva “Narciso” Evoè Edizioni. Vivo a Teramo e intendo restarci. Nel frattempo, continuo a partorire mostri nell’oscurità della notte; spauracchi che si stagliano negli angoli bui della memoria. Non temo gli odierni simulacri ma quanti hanno la soluzione al tuo male di vivere e predicano come i detentori della verità assoluta. La forza della poesia è quella di essere fuori mercato ed è forse questo il punto da cui insiste e resiste. Io vado avanti, immersa tra i metri e la vita, perché: A/mo/ la/ fòr/za/ dei/ lìm/pi/di/ vér/si, im/be/vù/ta/ di/ mìl/le/ pa/ù/re, che/ fu/gà/ci/ spraz/zi/ nàr/ra di/ ra/dì/ci/ mai/ dì/men/ti/cà/te. Ed/ il/lù/sa/ e/ so/spé/sa tra/ sòn/no e/ ra/giò/ne, tra/ Mor/fé/o e/ vec/chi/ mì/ti, in/sé/guo/ la/ schég/gia/ dei/ sén/si al/l'in/ter/no/ di/ mìe/ fra/gi/li/tà. da “Euritmia cromatica” Premio Dante Alighieri, 2007. E’ poesia. Se un gioco d’azzardo o un groviglio, non si sa. Ci metti dentro il tuo cuore come un bambino in un gioco e quando il foglio finisce, dopo aver rincorso i voli del pensiero e le ombre che da qualche parte respirano, sulla scena di una stanza, cala il sipario.
Commenti alla Silloge “Sporca Chimera”
Luce e carne. Terra e sangue. Tenerezza e fuoco. Spada e lacrime. I nuovi versi di Carina sono così, come l’autrice, ancora più ossessionata dalla purezza formale. Riecheggianti di atmosfere carpite altrove. Per me, che conosco lei, angelica e leale, l’invischiamento è più forte. La leggo e mi sembra di sentire la sua voce. Di questa bionda creatura radicata in una concretezza amorosa, e afflitta dal peso di grandi ali, ancora di più adesso io patisco il fascino.
Caterina Falconi (Scrittrice)
CUORE OLTRE
Entro in punta di piedi. So che non basta un cuore. Conto dunque i battiti. Niente sconti. Carina siede e ti guarda. Niente saldi qui. Ha pagato tutto e della merce ne fa ciò che vuole. Piuttosto butta giù la serranda e va a fumare altrove, ma non svende. Entro ugualmente. C’è, all’interno, una sensazione di perfida immobilità, una pece nera che si insinua fra pori soffocati e perdenti. Dove nascondi le tue parole, signora bimba? Poi le vedo. Affastellate senza civetteria, abbandonate su letti disfatti, fra cerniere di borse ammuffite, dentro pentole da cucinare, notti insonni e camomille da scaldare, ninne nanne roche, lamenti e guaiti di cani strappati alla notte. Le afferro, conscia che non ne uscirò indenne. Le giro fra le dita, le osservo da vicino, ne studio le insenature, i colori violenti e perdenti, le crepe preziose, la storia di tane e terra. La polvere volteggia da una parola all’altra. Fa un ghigno e piange. E’ madre e matrigna, coltre e neve, padre e stupratore, ricordo e assenza. E ti manca il fiato per soffiarci su, per liberarle dal peso, dalla terra gettata sui legni eterni, dalle stagioni avide, da un richiamo di strada da percorrere ad occhi chiusi. Ma Carina dice: va bene così. I lunghi capelli a ripararla dal gelo, biondi di grano su terra mora, gli occhi nudi senza inganni, fissi come gallerie di sole e nebbia. E vorresti stringerla e portarla a casa, a mangiare miele e crosta, a seguire il garrire raro, ad intrecciare il rigido rigore. E invece esco. Non apro la borsa. Non ho acquistato nulla, penso. Ma lei, mi fissa e dice: donna, te le regalo. E io non capisco o non voglio. Le sorrido e mi allontano. La borsa grava sulla mia spalla. Stringo il mio tesoro nascosto. “Ragnatele negli inganni delle labbra, malvagie fiducie, le tele del tempo, le nuvole di primavera labbra mute, e alberi privi di foglie, e radici bagnate dal mare, e il freddo novembre, e le terre del sud dove bruciano le cicale e i potremo ancora amarci. Le sporche chimere. Gli ultimi pensieri della sera, candide carezze ..”Sorrido grata, perché la poesia di Carina è bella e perché, ora, ho un cuore in più. Un cuore oltre. Suo dono.
Patrizia Di Donato (Scrittrice)
Parole che tornano, sempre uguali e sempre diverse. Diverse sono le emozioni che quelle parole, strette in versi, regalano. Il bacio, le labbra, l'amore, la carne e l'inferno, il buio e le stelle, la notte, la fragilità. Il cuore si stringe al primo verso, il respiro si trattiene e le emozioni si sprigionano quando si finisce di leggere una poesia. Un filo rosso lega queste liriche, appassionate e lievi, graffianti e cedevoli. La carnalità, intesa in senso fisico ma non solo, torna e torna, come un bisogno dell'anima più che del corpo stesso. Versi che profumano di vita, quella vera, quella fatti di attimi che lasciano un segno e che, segno dopo segno, cicatrice dopo cicatrice, compongono l'esistenza di chi scrive ma anche di chi legge. E' una poesia fortemente femminile, nel senso più sensuale del termine. Il dolore e l'amore, la speranza e l'angoscia si alternano nelle liriche, come nella vita. Una pennellata, forte e decisa, di vernice rossa su una grande parete bianca: questa l'immagine evocata dai versi dell'autrice. Un rosso che non disturba gli occhi, ma che tramite gli occhi scuote il cuore e lo fa vibrare. Dove si rintracciano chiari slanci autobiografici, il lettore riesce a trovare un po' di sé, un po' di quella storia finita, di quell'amore mancato, di quello rubato, di quello sognato. Sempre, comunque, da ogni verso si evince la passione per la vita anche quando questa riserva un dolore, uno schiaffo ben piazzato in pieno volto, una sconfitta. Il grande realismo non lascia mai spazio alla banalità, anzi costante è la tensione nel leggere quei frammenti che rapidi scivolano via. Mi piace e mi convince la poesia della Spurio, perché mi emoziona di un'emozione primitiva che profuma di Donna, di “Qualcosa di me” (Mi togli fiato e parole/negli attimi lenti/di un giorno qualunque/che s’infila nelle curva/di un rosso tramonto/tra anelli di fumo/che si espandono/e si intrecciano/in ritmiche pause/dentro la malinconia/di uno spesso silenzio/che labbra mute/rendono eterno./S’impara, sempre dopo s’impara,/che i baci non sono promesse/e il domani riflesso nel cerchio/dei tuoi occhi è troppo fragile,/eppure, ancora ti guardo,/fissato sulla tela del tempo/tra i colori e un momento/che trattiene qualcosa di me).
Veronica Marcattili (Giornalista)
Una poetessa legge un’altra poetessa
Emblematico e significativo al contempo il titolo della nuova silloge poetica di Carina Spurio, la poetessa teramana caratterizzata da una notevole sensibilità e da particolare attenzione alla Parola, che poggia su una base culturale consolidata. In tempi in cui proliferano, come funghi non sempre commestibili, poeti e poetastri, scrittori e pseudo tali, la Spurio rappresenta un caso a parte capace di donarci POESIA. Dalla lettura o meglio dalla fruizione delle sue poesie, si evince un sentimento di costrizione ed una lunga frequentazione col dolore, con la delusione, con la mancanza di quel riscontro affettivo che la sua generosità di sentimenti meriterebbe. Carina si interroga in un continuo dicotomico gioco di cui sembra non voler accettare che alcune fantasie, alcuni “fragili sogni”, mentre “spoglio il dolore dagli incubi” “prima che il buio ci avvolga”. Quell’incipit “mi respiri dentro” che apre proprio come un grande atto di coraggio e di speranza la prima poesia della silloge, sembra naufragare nel titolo “Sporca chimera”. E “nulla di sacro” c’è nei pensieri dell’altro, i cui “baci sono perfidi”, “l’inganno crudo”, “la fiducia malvagia” e solo “forme apparenti di verità” la circondano. Eppure ancora, a volte, lui è capace di “togliere fiato e parole”. La poetessa continua a volersi illudere, tanto grande è il suo bisogno d’amore, di riconoscimento, anche perché “Poesia urla”. È un grido che Carina conosce bene, una folgorazione che la desta nel cuore della notte e la spinge a scrivere di chi “le toglie le ali ai sogni”. Un grido che è anche grido di passione che la fa restare “aggrappata ai tuoi fianchi”, che la spinge a “prendere in mano i miei giorni”, “sciogliere il sapore del tuo nome tra i miei denti”. La speranza non l’abbandona, la luce è pronta a sconfiggere il buio “perché dentro un amore c’è sempre un altro amore”, perché “altrove brillerà un altro sole e torneremo”, perché s’intravede “nuova vita”. La lirica “Le cose importanti” sembra concludere il ciclo: malgrado tutto, Poesia riesce sempre a svolgere la sua funzione salvifica. Alla Spurio appartiene un linguaggio fluido ed efficace che si serve di parole sonore, di accostamenti di digrammi e poligrammi atti a rendere i sentimenti sottesi. Decisamente belle alcune originali metafore e similitudini “la mia idea è un balcone a strapiombo sul mare” “il sapore del tuo nome sciolto tra i miei denti” “mentre impastavo la sabbia dei giorni”.Da leggere e rileggere per goderne e scandagliare l’animo si una donna.
(note di Giuliana Sanvitale. Poetessa e Scrittrice)
La poesia di Carina Spurio si allunga, si tende nel costante tentativo di coprire distanze ragguardevoli: quelle che attraversano i paesaggi interiori di tutti noi. Il suo è un tentativo che ci appartiene: se partiamo da questa constatazione, possiamo seguirla nel suo viaggio tutt’altro che “facile”, immediato. Ha tantissimo da dire, questa scrittura, e vuole dirlo con la passione e la competenza dell’artista lucido, consapevole di essere al tempo stesso strumento di riflessione e di proiezione, lungo il percorso. Le parole di Carina si aprono a noi lettori con un fascino particolare, voce che – sembra quasi di scorgerla davanti agli occhi – si sviluppa incessantemente. Ci sono, anche, i richiami alla natura, ma non sono centrali quanto i rapporti interpersonali, vero fulcro di questa scrittura. Ed è soprattutto il rapporto “io/tu” ad essere analizzato, in un presente capace di far confluire in sé anche i ricordi, le speranze, i timori. Dopo aver letto l’ultimo verso, viene già voglia di ricominciare dal primo, perché in una poesia così profonda qualcosa sfugge sempre. Anche questo è un “ritorno”, se vogliamo, come ogni ritorno giustificato dalla necessità della comprensione. È sempre necessario avere un quadro d’insieme, una visione il più possibile vicina alla completezza, e la voce degli artisti vive per questo. Grazie, Carina, per aprirci all’ “oltre” che la superficie nasconde.
Francesco Sicilia (Poeta)
Ho letto con molta attenzione la tua nuova Silloge "Sporca chimera" e, credimi, ne sono rimasta davvero emozionata e affascinata. Anche se già conoscevo il tuo modo di poetare, ho trovato in questa raccolta molto di più: a iniziare da come l'hai impostata, commentando tu stessa alcuni dei versi più incisivi con parole davvero bellissime che ce ne spiegano il significato e le ragioni, con concetti doppiamente acuminati, doppiamente destinati a rimanere fissati nel cuore di chi legge. Dire musica è un'ovvietà, ma non si può fare a meno di dirlo perché suoni sommessi di pianoforte sembrano spesso i tuoi versi, con toni alti e cristallini oppure bassi e profondi, a seconda dell'argomento: che sia amore, o sofferenza, che sia speranza o riflessione sociale o se invece è il fatale, incurante, minaccioso andare dei giorni incontro alla fine. Ma possono essere anche i due
toni mescolati insieme, alternati, affiancati perché la vita, quel serpentello, a volte innocuo, a volte velenoso, striscia e s'insinua ovviamente tra emozioni, ricordi, cicatrici, rabbie e speranze. Come
accade nei versi dei grandi poeti è qualcosa che sfonda simbolicamente la pesantezza, la forza di gravità della vita e delle azioni terrene e del loro linguaggio, che le allontana dalla forza di gravità ,le mette in diversa più decantata prospettiva. E per te, donna, (e lo comunichi a tutte le donne) è la realtà immanente, non un mero strumento culturale:è ciò cui non si può sfuggire, perfettamente contemporaneo al nostro presente e al nostro futuro. Sinceramente non saprei scegliere una poesia che mi piaccia più delle altre perché le trovo tutte emozionanti e perfette, limpide: poesie senza residui, luminose quand'anche spettrale, a volte, sia la luce che le illumina. Canto - incantesimo che a dispetto del corpo-sudario, del corpo-sepolcro, permette al reale indicibile di farsi parola. Penso che per te questa sia la vera "rinascita", la rinascita del mondo: ciò che rimette al mondo il mondo per te è LA POESIA.
Gabriella Falanga (Poetessa)
La Guru della poesia non si smentisce mai. Fantastica Carina!!!
RispondiEliminaDanilo...Grazie!
EliminaOgni volta che ti leggo è puro piacere misto a sorpresa, non tanto per la tua bravura, di cui noi tutti siamo coscienti, quanto per le inaspettate memorie che si risvegliano e le emozioni che dirompono dentro. Non smettere mai di aiutarci, con le tue parole, a ritrovare qualcosa di noi ed a capire l'inspiegabile. Un forte abbraccio poetessa "spietata"!
RispondiEliminaSarà che questa vita graffia come una mano di tigre affamata pronta a cavarti gli occhi. Con questa consapevolezza, perdi la voce. Sarà che ti restano solo le dita, mentre pensi che non è giusto. Sarà che non riesco ad odiarla la vita, neanche quando spalanca le fauci per inghiottire. Sarà che questa vita ti infilza con i suoi denti di Lupo e lascia dentro i buchi le disillusioni. Sarà che ho iniziato a sistemare le parole negli angoli del suo perimetro perché non avessero paura di restare. Rimane sempre difficile Resistere in questa jungla, ma soprattutto Esserci; anche quando Il Caos preme sull'Insistere che come liquido nero si posa sul bianco lucidamente, meno della sua natura. Il Caos, lo stronzo, lo sa, che solo in questo modo puoi farcela.
EliminaGrazie... Stefania. :-*
Le tue parole scivolano come piume mosse da un fiato leggero di vento, ma che trascorrono e percorrono tutte le ansie, i sussulti, le incognite, gli affanni di un tempo critico. Sotto la coltre della levità del linguaggio, sempre trovo e mi-ritrovo in una ruvidezza difforme di una full-immersion totalizzante ed estrema degli anfratti della vita che graffia e morde. Grazie.
RispondiEliminaTi leggo e ti seguo, anche da Palma.
Salvietta x 2.
RispondiEliminaMi hai insegnato che potevo farcela, mentre io, facevo finta che fosse vero. Poi, mi hai insegnato ad andare oltre: ad accettare che i miei versi non rimanessero un rimpianto tra le cose che “sarebbe stato bello pubblicare”. Mi hai insegnato ad aver fiducia nella voce in tempesta sotto le mie dita con il tuo garbo che investiva la mia assenza di garbo. Tu la fiducia, io la negazione. Tu la quiete. Io la tempesta. In quel momento avevo bisogno di essere così: di non credere, di essere pessimista, un po’ cinica, un po’ fredda e un po’ scorbutica. Alla fine, ho ceduto, sempre sentendomi tra il fuori posto e il fuori orbita. Dentro il vecchio mutamento ci siamo ancora e la tua idea: è diventata il mio balcone a strapiombo sul mare, s’allarga, mentre la scia del pensiero ne asseconda la curva, ritorna, fino alla fonte in un istante, si fissa in un punto e ci resta, a costo di strangolare la luna per restare memoria. :-*
Ti conosco da quando eravamo quasi adolescenti ( e non dirò quanto tempo fa...).Non hai mai perduto la voglia di lasciare un segno,una traccia ben evidente del tuo passaggio nella vita di qualcuno.Allora,ma anche oggi,lo facevi come se ti scappasse di bocca una frase,come se un gesto sfuggisse al controllo.In realtà eri tu,sei tu.Lanci e osservi che accade intorno a te,nelle persone,scruti le loro espressioni e le reinterpreti " di pancia",prima che col cuore. Ardita e timida,sfrontata e pudica.Tutto insieme.La confusione sembra attrarti,ma brami ( sì,brami) la quiete in cui ascoltare il respiro di chi/cosa vuoi tu.Ecco,respiro sarà la tua parola chiave per le prossime creature.Di ogni forma,materia e genere.
RispondiEliminaMaria Rita Piersanti:
RispondiEliminaCosa rispondo alla regina delle Fate che mi ha appena aperto la porta dell’Adolescenza? Dentro al ricordo, Montorio al Vomano di qualche anno più o meno fa. Le scale di corsa in Viale Duca Degli Abruzzi. Mariella Martegiani al solfeggio. Guglielmina Martegiani al pianoforte. Sono già senza fiato. La Fata Piersanti erà già Donna. La “D” in maiuscolo non è un caso. Perfetta in ogni sua manifestazione. La discutibile è qui che sta scrivendo. Al suo cospetto nessun rumore e nessun suono, nemmeno il mio respiro. Io che al tempo non ero molto tollerante ma stronza, egoista e una semplice e ingarbugliata testina, cambiavo questi termini in tavola non appena la Fata senza bacchetta magica confinava con il mio campo magnetico. Quando i miei occhi si posavano su di lei timidamente, avevo davanti tutto ciò che non ero. La mia espressione era di una trascendenza estrema, quasi una via apofatica infinita; l’unica via che in fondo riferisce il senso proprio della realtà divina. La televisione, anni dopo, pensò bene di diffondere l’incanto. Non sono quasi mai seria e sono sempre troppo seria. Troppo profonda e troppo superficiale. Troppo sensibile e troppo crudele. Ma dentro questo mio tutto e contrario di tutto, un amico resta per sempre. Con l'ammirazione di sempre. :-*
Tu non sei ( e non eri) discutibile.Tu sei.Punto.E con me ricordo che eri quasi timida negli sguardi,anche se eri tu la "grande",per me.Più adulta,più disinvolta,più sicura.Io mi sentivo un gamberetto timido,a 15 anni.Ma tu mi davi corda.E quella corda resiste ancora....con l'affetto e la stima di sempre.
EliminaLa poesia di Carina è aria e carne, materia e pensiero, emozione e tocco, è tutto questo e molto altro. Perchè è poesia vera, e non può che espandersi.
RispondiEliminaFrancesco
Francesco:
RispondiEliminaGli esseri umani che scrivono versi, sono destinati
a farsi del male e a fare del male del male, mentre altri enjambements spezzati, scendono dal cielo a caduta libera, in cerca di uno schianto. Come diceva Calvino:
"Così ho messo tutto a posto. Sulla pagina, almeno. Dentro di me tutto resta come prima."
Italo Calvino - Il castello dei destini incrociati.